domenica 5 novembre 2017

La Bomba di Report! Dal Vaticano alla Apple, passando per 120 potentissimi politici ecco dove hanno imboscato un vero tesoro..


Comunicato stampa
Rivelazioni sugli affari nei paradisi fiscali di 120 politici di tutto il mondo, imprenditori, reali e istituti religiosi. I segreti sono nascosti nei 13 milioni di documenti acquisiti dalla testata tedesca “Suddeutsche Zeitung” e dal consorzio internazionale di giornalismo investigativo.
Dopo il clamore dei “Panama papers” l’inchiesta svela i nomi dei clienti degli studi legali off-shore Appleby e Asiaciti. Svelati anche i dati dei registri aziendali di 19 paesi off-shore come Bermuda e Cayman.
Nei documenti riservati emergerebbero i rapporti tra la Russia e il ministro per il commercio, Wilbur Ross, uno dei più stretti collaboratori di Trump. Ross ha partecipazioni nella società di trasporti Navigator Gas. Avrebbe ricevuto circa 68 milioni di dollari dalla Sibur azienda di energia che ha tra gli azionisti Kirill Shamalov, genero di Putin.

Nei “Paradise papers” emergerebbero anche gli affari di Stephen Bronfman responsabile della raccolta fondi del premier canadese Justin Trudeau, che ha fatto della lotta all’evasione il cavallo di battaglia della campagna elettorale. Proprio la società di investimenti di Bronfman, la Claridge’s, avrebbe aiutato altri imprenditori a spostare milioni di dollari nei paradisi fiscali con lo scopo di evitare di pagare tasse in Canada, Stati uniti e Israele.
Tra le carte anche i meccanismi societari che avrebbero consentito ai colossi Apple, Nike, Uber di risparmiare sulle tasse e gli investImenti nelle Cayman della regina Elisabetta. L’inchiesta è stata condotta da 382 giornalisti di 96 testate di tutto il mondo. I segreti che riguardano imprenditori e aziende italiane, che operano in settori sensibili e strategici, saranno svelati in esclusiva per la televisione italiana dalla trasmissione di Raitre “Report” e per la carta stampata dal settimanale “l’Espresso”
DI PAOLO BIONDANI, ALESSIA CERANTOLA, GLORIA RIVA, LEO SISTI per L’espresso




Quando il segretario al commercio degli Stati Uniti Wilbur Ross è stato interrogato dai giudici per chiarire il suo ruolo di ex vicepresidente della Banca di Cipro, che ha una lunga storia di finanziamenti a favore degli oligarchi legati a Putin, si è limitato a rispondere che quei russi non erano suoi partner. Finita l’udienza, un gruppo di senatori democratici gli ha anche scritto una lettera per saperne di più sui legami tra la banca cipriota, i russi, l’amministrazione Trump, la sua campagna elettorale e l’organizzazione che porta il nome del presidente. A quella lettera Ross non ha mai risposto.
Ma da quanto emerge ora dai Paradise Papers, le nuove carte riservate dei paradisi fiscali, un database con 13,4 milioni di documenti ottenuti dal giornale tedesco Süddeutsche Zeitung e condivisi con il Consorzio internazionale dei giornalisti d’inchiesta (Icij), Wilbur Ross trae profitto dai legami d’affari con il cerchio magico del presidente russo Vladimir Putin. Il ministro americano risulta infatti titolare di partecipazioni in un’azienda di trasporti tra i cui proprietari compaiono il genero di Putin e un altro magnate russo, sanzionato dal dipartimento del tesoro statunitense proprio per i suoi legami con la cerchia di Putin.


Centoventi politici di tutto il pianeta, tra cui il segretario al commercio Usa, il tesoriere del premier canadese, il ministro delle finanze brasiliano. E poi star come Madonna e Bono, le regine d’Inghilterra e Giordania, i big della finanza e delle multinazionali. Ecco la nuova inchiesta giornalistica internazionale che rivela 13,7 milioni di documenti riservati di migliaia di società offshore collegate ai potenti del mondo

LA CONNECTION RUSSO-AMERICANA
Ross è un investitore miliardario nel settore finanziario, che si è liberato di buona parte, circa l’80 percento, delle sue partecipazioni aziendali prima di entrare a far parte dell’amministrazione di Donald Trump a febbraio. Tuttavia, quello che non si sapeva, è che ha mantenuto le sue quote nell’azienda di trasporti Navigator Holdings Ltd, una società offshore creata nelle isole Marshall nell’Oceano Pacifico, di cui è stato anche presidente. Nel 2016 Ross e altri investitori detenevano il 31,5 percento dell’azienda, che dal 2014 ha ricevuto i maggiori profitti, per un ammontare di oltre 68 milioni di dollari, da un colosso russo del gas, chimica e petrolio, la Sibur. Basandosi sulla quotazione di mercato del 30 ottobre 2017, il valore è di circa 179 milioni di dollari.
Tra i proprietari principali della Navigator ci sono Kirill Shamalov, genero di Putin, e Gennady Timchenko, oligarca sanzionato dagli Usa per le sue attività nel settore dell’energia. secondo il dipartimento del tesoro americano, è direttamente legato a Putin. E c’è anche Leonid Mikhelson, che controlla un’altra compagnia energetica colpita dalle sanzioni decise dagli Stati Uniti per punire l’intervento russo nella guerra civile in Ucraina.
Molti dei fondi di private equity che gestiscono questi investimenti sono stati creati e gestiti da Appleby, il grande studio professionale che ha la sede centrale alle Bermuda. Appleby è una delle due società specializzate nella creazione di offshore che sono al centro della colossale fuga di notizie dei Paradise Papers.



In quanto segretario (cioè ministro) al commercio, Ross esercita oggi una forte autorità sulle politiche economiche internazionali degli Stati Uniti ed è una voce molto influente anche nei rapporti con la Russia. Un nemico storico dai tempi della guerra fredda con il quale gli Usa sono tornati ad avere relazioni sempre più tese in seguito all’invasione della Crimea nel 2014 e alle indagini americane sulle interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016, dirette a favorire Trump e a danneggiare la candidata democratica Hillary Clinton.

Dai documenti dei Paradise Papers ora emerge una catena di società e accordi commerciali (partnership) con base nelle isole Cayman, attraverso i quali Ross continuava a mantenere la propria partecipazione sulla Navigator. Sono relazioni dubbie, secondo gli esperti consultati dal consorzio Icij, con possibili conflitti d’interesse tra doveri pubblici di imparzialità e attività economiche private. «A parte gli aspetti legali, sarei molto preoccupato se qualcuno nel governo degli Stati Uniti guadagnasse facendo affari con i russi, e vorrei sapere come stanno i fatti», ha commentato Richard Painter, avvocato responsabile dei controlli sull’etica pubblica durante l’amministrazione di George W.Bush.
GLI UOMINI DI MOSCA DENTRO TWITTER E FACEBOOK
Ma gli affari con la Russia rivelati dalle carte dei Paradise Papers si estendono anche alla Silicon Valley. Nei documenti infatti spunta anche il nome di un grosso investitore di Twitter e Facebook, che a sua volta ha legami con due aziende di stato russe. Una delle aziende in questione è la banca Vtb, che ha dirottato 191 milioni di euro in un fondo d’investimento, chiamato Dst Global, per comprare una grossa partecipazione in Twitter nel 2011. Sempre dalla parte russa compare una filiale del gigante dell’energia di Mosca, la Gazprom Investholding, che ha finanziato una società offshore, partner della stessa Dst Global, in un grosso investimento su Facebook.
A guidare queste operazioni e a fare da punto di connessione tra gli investitori è il miliardario Yuri Milner, 55 anni, nato a Mosca, con un passato di studi all’università della Pennsylvania. Tornato in Russia, Milner prende in mano le sorti incerte della Mail.ru, un’azienda russa di posta elettronica, trasformandola nel primo provider di email del paese. Poi, nel 2005, forma la società Digital Sky Technologies (Dst) e tre anni dopo diventa partner del miliardario russo-uzbeko Alisher Usmanov, che diventa quindi il principale azionista del fondo di investimento Dst Global, che Milner crea nel 2009.
Gli interessi di Milner guardavano alla California e al fiorente mercato della tecnologia. Milner, e altri partner, hanno ottenuto ingenti guadagni dall’investimento nei due colossi americani, rivendendo poi le loro partecipazioni, poco dopo il lancio in borsa di Facebook nel 2012 e di Twitter nel 2013. Questo non significa che il Cremlino sia riuscito a esercitare la propria influenza su Twitter e Facebook, come precisa il consorzio Icij, o che abbia ricevuto informazioni riservate sulle due società americane grazie agli investimenti legati a Milner. Ma le carte documentano un fatto prima sconosciuto: già anni risulta prima che la Russia si immischiasse nelle elezioni presidenziali statunitensi nel 2016, i magnati legati al Cremlino allungavano i propri interessi finanziari nei social media americani. Una scoperta che oggi, mentre il Congresso sta investigando su questi giganti della tecnologia per la massiccia diffusione di informazioni false durante la campagna di Donald Trump per la Casa Bianca, potrebbe aprire un altro fronte del Russiagate.
In risposta alle domande di Icij, Milner ha dichiarato che tutti gli investimenti, inclusi gli affari con Twitter e Facebook, sono sempre stati basati su criteri di merito aziendale e non hanno niente a che vedere con la politica. E ha confermato che la banca Vbt era uno dei partner che hanno contribuito a finanziare l’investimento su Twitter. Secondo Milner, meno del 5 percento dei fondi gestiti dalla sua azienda arrivano da istituzioni del governo russo.
Dietro alla Gazprom Investholding c’è ancora Usmanov, una figura dalle forti connessioni politiche in Russia, che per anni ha gestito la compagnia. Usmanov è anche un importante investitore privato, con partecipazioni in diversi settori. E ha preso parte, assieme a Milner, anche alle trattative per gli investimenti su Twitter e Facebook. Il Cremlino, da parte sua, ha più volte usato Gazprom Investholding per importanti accordi di carattere politico e strategico, come ha riferito al New York Times un esperto, Ilya Zaslavskiy, consulente di Kleptocracy Initiative, un progetto dell’Hudson Institute a Washington: «Si tratta di un potente strumento economico e politico».
La banca Vbt è nota per essere un attore importante nel sistema politico russo. Il suo direttore, Andrei Kostin, è un alleato dichiarato di Putin. «Da un lato è una banca, ma dall’altro è uno strumento del Cremlino», spiega Sergey Aleksashenko, esperto di banche russe della Brookings Institution, che ha lavorato nel direttivo della Vtb negli anni ’90: «Quella banca è pronta a fare qualsiasi cosa chieda il Cremlino».
Anche la Vtb ha confermato al consorzio Icij di aver investito in Twitter attraverso la società Dst Global di Milner. La banca ha inoltre dichiarato di aver venduto la propria partecipazione con profitto, ma senza alcuna motivazione politica. Milner da parte sua ha sottolineato che anche in precedenza la Vtb aveva fatto affari, attraverso la Borsa di Londra, nella Silicon Valley.
Un portavoce di Gazprom Investholding ha confermato di aver fatto prestiti a una società offshore denominata Kanton Services, che dai documenti esaminati risulta azionista di alcuni veicoli di investimento usati da Dst Global negli accordi con Twitter e Facebook. Ma la società ha negato il coinvolgimento di alcun pubblico ufficiale russo. La stessa Kanton Services è però legata in diversi modi all’oligarca Usmanov. Dai documenti dei Paradise Papers, infatti, risulta che tutti gli investimenti di Kanton erano gestiti da un consulente finanziario, Leon Semenenko, noto per essere socio in affari dello stesso Usmanov.

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